Lunedì, 29 Febbraio 2016

Il mercato del Capo di Palermo

Questo mercato, uno dei principali di Palermo, è situato nella parte più a monte dell’antico quartiere del Seralcadio, la principale strada che attraversava la Palermo musulmana (Capo sta per caput Seralcadi, la parte nord-occidentale di questo quartiere).

 

In età medievale qui si trovavano i fondachi (parola derivata dall’arabo fondaq) dei numerosi mercanti amalfitani, genovesi e pisani.
Un modo per entrare in questo mercato è quello di arrivarci partendo da Piazza Sett’Angeli, la piazza sulla quale si affaccia il lato orientale della Cattedrale, quello dietro l’abside, il cui nome deriva dai sette angeli che sono raffigurati in un affresco venuto casualmente alla luce nel 1516 nella chiesa di Sant’Angelo, che un tempo si trovava proprio in questo luogo.
L’importanza di quell’affresco è legata al fatto che non conteneva soltanto le immagini dei sette angeli ma anche i loro nomi: Michael, Gabriel, Raphael, Uriel, Sealtiel, Gendiel, Barachiel. A parte i primi tre, gli altri quattro furono cancellati dalla Chiesa, a causa di oscuri riti che ad essi erano collegati.
Percorrendo via Sant’Agata alla Guilla si arriva, dopo poche decine di metri, in un piccolo slargo, piazza Sant’Isidoro.
Qui sorgeva la porta di Sant’Agata alla Guilla, che segnava, ai tempi della dominazione araba, il limite settentrionale della città.
E qui oggi c’è una piccola bottega artigiana da dove si diffonde nell’aria uno dei più caratteristici odori di Palermo, quello dello sfincione, specialità gastronomica che più palermitana non si può.
Proseguendo dritto si arriva dapprima in piazza Beati Paoli e quindi, attraverso l’omonima via, ci si addentra nel cuore del mercato, il più ricco di quelli palermitani.
Sembra proprio di trovarsi in un suk orientale, tra prodotti, colori e odori di ogni genere.
A farla da padrone sono i generi alimentari: nelle bancarelle, disposte l’una di seguito all’altra, si trova di tutto, dalla carne (a Palermo i negozi che vendono carne si chiamano carnezzerie, termine di derivazione spagnola) alle diverse tipologie di pesce, dal pescespada alle acciughe, dal pane, assolutamente fondamentale per un palermitano, ad ogni genere di frutta e verdura, dalle spezie, profumatissime e coloratissime, alle olive.
Artisticamente sistemate su bancarelle specializzate, le olive, segno della lunga presenza dei greci in Sicilia, sono divise a seconda della loro tipologia.
Ce ne sono di tanti tipi, le mie preferite sono quelle “al fiore”, nere e aggrinzate.
Proseguendo lungo via Beati Paoli si arriva in Piazza Capo, vero fulcro del quartiere; a sinistra c’è la via Cappuccinelle, dove, all’esterno del panificio Morello, fino a poco tempo fa si poteva ammirare a pupa ru Capu, un pannello in mosaico che per più di un secolo è stato uno dei luoghi simbolo dell’identità culturale della città.
A pupa ru Capu è il nome dato dai palermitani all’immagine della bella ragazza raffigurata in quella che è una vera e propria opera d’arte, testimonianza del liberty palermitano: come non notare una forte analogia con le decorazioni art nouveau che rendono ancora più piacevole una sosta nella famosa pasticceria Escribà, nella Rambla di Barcellona?
Posta al piano terra di un palazzo barocco (Palazzo Serenario), proprio di fronte alla chiesa di Santa Maria della Mercede, quest’antica bottega che risale ai primi anni del Novecento nacque da un’idea di Salvatore Morello, piccolo imprenditore palermitano che aveva voluto realizzare un panificio diverso dai soliti.
Ma in quale altra città è possibile ammirare un’opera d’arte all’ingresso di un panificio?

Franco Torre

P.S.
Seralcadio deriva dall’arabo sari-al-qadi, strada del magistrato: qadi indicava il magistrato musulmano al quale era demandata l’amministrazione della giustizia ordinaria.
Guilla deriva dall’arabo wadi (o guad), letto di fiume, da guad a guid e quindi a guidda e quindi a guilla. Vicino alla chiesa di Sant’Agata alla Guilla scorreva infatti il fiume Papireto (da wadi deriva la parola guado).
Beati Paoli è il nome di un’antica setta segreta, ancora oggi avvolta dal mistero, tra storia e leggenda, le cui origini sembra risalgano al XII secolo. Se da una parte è certo che quest’antica associazione non ha nulla a che vedere con la mafia, dall’altra si può tranquillamente sostenere che nei comportamenti dei suoi componenti è possibile riscontrare tracce della mentalità mafiosa, la cui caratteristica principale sta nel disconoscimento dell’autorità ufficiale quale fonte di giustizia. L’obiettivo della setta dei Beati Paoli, i cui componenti agivano in alcuni casi da giustizieri e in altri da sicari, era infatti quello di fare giustizia dei torti subiti dalla popolazione e tollerati dalla corrotta giustizia ufficiale. Secondo la tradizione orale, i Beati Paoli si riunivano in una grotta sotterranea nei pressi della chiesa di Santa Maria di Gesù, che si affaccia proprio sulla piazza intitolata a questa setta.

Commenti  

0 #1 Angelo Nicosia 2016-03-04 08:04
Un'ottima descrizione di uno dei luoghi più caratteristici di Palermo e un percorso da fare assolutamente, venendo in questa bella città, senza trascurare di soffermarsi nella bottega dello "sfinciunaru" per assaporare l'odore e il sapore della sua prelibata opera d'arte!!
Citazione

Aggiungi commento


Codice di sicurezza
Aggiorna

Sei qui: Home Attività sociale Osservatorio Il mercato del Capo di Palermo