Mercoledì, 11 Novembre 2015

La nobiltà siciliana non si è mai interessata delle condizioni della Sicilia



Situata a nord del lato settentrionale del Palazzo Reale, Porta Nuova rappresenta l’ingresso da ovest a Palermo. Questa porta fu eretta, in sostituzione di quella allora esistente, per ricordare il trionfale ingresso in città del 1535 di Carlo V, di ritorno vittorioso da Tunisi. Le quattro figure di mori stanno infatti ad indicare le vittorie africane dell’imperatore sul cui regno non tramontava mai il sole.
A sud di Porta Nuova, all’estremità settentrionale del Palazzo Reale, sorge la Torre Pisana, una delle quattro torri a suo tempo costruite dai Normanni all’interno della sede del loro potere. In cima alla Torre si trova l’Osservatorio Astronomico di Palermo, fondato nel 1790 e posto qui nel 1791. All'interno dell'Osservatorio sono contenuti importanti strumenti appartenuti a Giulio Fabrizio Tomasi, il Principe astronomo e osservatore di comete al quale si ispirò Giuseppe Tomasi di Lampedusa per la figura del Gattopardo.
Il Principe s’era fatto costruire un Osservatorio personale nella sua villa di San Lorenzo ai Colli e lì amava passare il suo tempo a guardare le stelle. Preferiva guardare le stelle lontane anziché la città vicina, città che, come tanti esponenti della nobiltà siciliana, sentiva estranea, non sua, più lontana delle stelle. Meglio interessarsi delle comete che dei problemi reali, meglio rifugiarsi nel lontano da sé, che provare a migliorare la propria città.
All’inizio del Gattopardo, nel descrivere il personaggio di Fabrizio Corbera, Principe di Salina, Giuseppe Tomasi di Lampedusa usa queste parole: «…stava a contemplare la rovina del proprio ceto e del proprio patrimonio senza avere nessuna attività ed ancora minor voglia di porvi riparo». Tomasi di Lampedusa non poteva scegliere parole più efficaci di queste per descrivere la voglia di distruzione, il non sentirsi parte di una comunità, il disinteresse per la sorte dei propri simili, che caratterizzano il personaggio del Gattopardo, e che da sempre si ritrovano, salvo rarissime eccezioni, nella nobiltà siciliana. Una nobiltà alla quale è stata sempre estranea l'idea del fare, del costruire qualcosa, l'importanza di contribuire, attraverso la realizzazione di cose concrete, che lascino la memoria di sé, al benessere della vita degli altri, di quelli che vivono nella città, nella terra nella quale si vive.
Questo perché la nobiltà siciliana ha sempre considerato la società un'entità estranea, separata da una distanza siderale dal proprio mondo, un mondo a parte. Una nobiltà, quella siciliana, mai stata un esempio di quello che una nobiltà illuminata può, e deve, offrire, priva com'è sempre stata del senso più autentico del termine “nobile”, che non si riduce di certo all'esibizione di stemmi di famiglia. In definitiva una nobiltà più di nome che di fatto.
Nobili bisogna esserlo nei comportamenti, non negli aspetti esteriori. Ma in Sicilia, come si sa, l'apparenza è tutto.

Franco Torre

Commenti  

0 #1 Fabrizio 2015-11-11 21:10
Purtroppo la borghesia palermitana ha ereditato questo vile atteggiamento che è il peggiore dei mali.
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